Sono ufficialmente entrata in una nuova fase. Sono definitivamente vittima della cosiddetta sindrome del nido (non vuoto, ancora da riempire).
Mi sento una forza della natura. Procedo imperterrita con liste e listine: chiamo tutti.
Ospedali, ostetriche, anestesisti, falegnami, vetrai, fabbri, costruttori, materassai, calzolai.
Organizzo con grande energia tutto l’organizzabile.
Innanzi tutto ho scelto l’Ospedale Buzzi per dare alla luce il mio pargolo.
E’ a pochi chilometri da casa e sembra avere una buona reputazione.
Ogni Sabato mattina io e Bu ci alziamo presto e dopo una colazione fugace, saltiamo in macchina e facciamo le prove generali.
Ci dirigiamo con disinvoltura al reparto maternita’..e li’ ci sorbiamo una serie di bei corsi di preparazione per l’avventura che ci aspetta.
Immagini di donne partorienti e micro-bambini grigio-rossastri scorrono sul mega schermo mentre psicologi, neonatologi, ostetriche e primari vari ci raccontano la rava e la fava di quello che verra’.
Noi ascoltiamo rapiti. Sembra di essere tornati a scuola. Per la prima volta con un certo interesse, tra l’altro.
Le reazioni sono molteplici: momenti di grande agitazione e felicita’ si alternano a espressioni di terrore e sensazioni di nausea.
Io e Bu commentiamo in continuazione…lui si lamenta di quanto il suo sia il ruolo piu’ complicato..mentre io, incredula, gli spiego che si da’ il caso che sia IO a partorire.
No, non funziona cosi’.
Udite, udite “stare di fianco a qualcuno che soffre senza poterlo aiutare e’ una sensazione talmente frustrante e sconvolgente che forse e’ meglio non provarla”..
Questo e’ il momento della storia in cui i miei occhi si iniettano di sangue, inizio a farfugliare frasi incomprensibili zeppe di CZZ T’MZZ, TU VIENI CAPT?
E lui, con un colore del volto ormai tendente al grigio, replica dicendo che SI ci provera’…ma resta comunque una situazione di una difficolta’ superiore ad ogni altra.
E te pareva. Neanche al momento del parto potro’ convincerlo che ci sia qualcuno al mondo che sta peggio di lui.
Vabbe’, fortunatamente mi aiuta lo yoga.
Mi dedico due ore a settimana. Vado a respirare a fondo e mi avvinghio su me stessa in posizioni improbabili, mentre la mia pancia spunta e rispunta in ogni dove.
Rotolo su un lato, giro sull’altro e intanto ascolto l’istruttrice mentre suggerisce di vivere il momento e prendere coscienza sino in fondo.
La mia mente divaga e visto l’orario serale della lezione solitamente finisco per sognare il pasto che mi aspetta: mozzarella di bufala, pasta alla bottarga, pollo al curry, insalata di avocado,
A fine sessione torno a casa a piedi tutta rotta e con una fame spaventosa e non ho ancora capito cosa succeda prima: chiudo la porta dell’appartamento una volta rientrata o apro quella del frigo?
Si tratta di una frazione di secondo..in cui perdo il controllo della situazione e mi ritrovo con le mani affondate nel formaggio, la bocca sporca di briciole e i denti che ruminano instancabili qualunque cosa di minimamente commestibile si siano ritrovati intorno.
Forse devo lavorare meglio sul mio spirito…per non cedere ai morsi della fame (o perlomeno cedervi con piu’ grazia). Ma vi assicuro, E’ DURA.