30.4.10

Once we were strangers

Io sospesa in una vita che non mi convinceva.
Tu appeso e confuso, alla difficile ricerca di te stesso.
Ci siamo trovati un Venerdi sera di Settembre.
In mezzo al caos di centinaia di persone in una New York tutta da bere.
Ci siamo guardati e ci siamo visti.

Facevamo lunghi discorsi sulle panchine, cenavamo fuori la sera, andavamo al Parco e a Jones Beach alla domenica, correvamo a Brooklyn per vedere i film di Nanni Moretti, ci baciavamo a lungo e ci tenevamo la mano. Ci scoprivamo giorno per giorno, accompagnati dalla magica sensazione di esserci sempre conosciuti. Anche se non era vero.

Sei stato l’incontro piu’ bello della mia vita.
E sei diventato l’altra meta’ del letto, il numero di telefono piu’ chiamato, tu la mia coscienza, io il tuo consigliere, tu la mia abitudine, io la tua certezza, tu la casa, io la spalla, tu il sorriso, io il pianto, tu il babbo, io la mamma.

Oggi raramente ho il tempo ne’ mi concedo il lusso di guardare indietro. Ma capita qualche volta.
Mentre sono sola coricata sul divano a guardarmi intorno penso che mi piace tutto quello che vedo.
Mi piacciono le calle nel vaso. Ho sempre voluto i fiori freschi in casa. Li vorrei tutti i giorni della mia vita. Mi piacciono i tuoi libri di fotografia sul coffee table. Mi piace la serie dei Sopranos aperta vicino alla TV. Mi piacciono la tua borsa e le tue scarpe dimenticate all’ingresso, mi piace la gallina africana di plastica riciclata, mi piace la tua foto con Tommaso dove tu guardi me, lui guarda te e ride. Mi piace il raccoglitore con su scritto gravidanza, dove ho appena riposto l’ultima ecografia. Quasi mi piacciono anche le tue 15 giacche appese all’attaccapanni invece che nell’armadio. Quelle quasi. Ma me le faccio piacere lo stesso.

Tutto mi parla di noi, di Tommaso, di te.
E mi viene da ridere, perche’ nelle orecchie sento la tua stupida risposta a tanta sdolcinatezza.

“Call me Mr. Amazing”.
Si amore. Will do.